Self-service analytics, tra falsi miti e reale efficacia

L’obiettivo del Self-service analytics è rendere le aree di business autonome nell’ottenere la risposta giusta nel momento giusto, senza interventi esterni da parte del team analytics o dell’IT

Pubblicato il 15 Set 2020

Alberto Visentin

Analytics Pre-Sales and Data Visualization Solution Leader - Var Group Mediamente Consulting

Generalmente alla voce “Self-service analytics” vengono affidate tutte le aspirazioni di un’azienda in termini di analisi libera, rapida e semplice delle informazioni. L’obiettivo è infatti rendere le aree di business autonome nell’ottenere la risposta giusta nel momento giusto, senza interventi esterni da parte del team analytics o, più in generale, dell’IT. Il tutto senza lunghe e dispendiose – oltre che soggette a errore – attività manuali per estrarre i dati dai sistemi source e importarli, rielaborandoli, in un file Excel o simile.

L’obiettivo è ambizioso e non semplice da raggiungere. Perché si tratta non solo di pensare a come introdurre un nuovo software all’interno di un contesto architetturale IT magari già ampiamente articolato, ma anche se non soprattutto di far passare in azienda un nuovo paradigma concettuale nel modo di ricercare, analizzare e presentare i dati. Si tratta, in altre parole, di lavorare sia sulla tecnologia presente in azienda ma anche sulla psicologia delle persone coinvolte, trovando i canali giusti per farsi “sponsorizzare” l’iniziativa e al tempo stesso dimostrando che questa è un’operazione “win-win” per tutti: per il management e i soggetti decisori, che così ottengono risposte sicure e più rapidamente di prima, e per i collaboratori che prima impiegavano molto (troppo) tempo in attività “custom” di preparazione del dato e che ora possono/devono vedere un’occasione per evolvere concettualmente il proprio lavoro (dalla “data preparation” alla “data analytics”),

A partire da queste considerazioni, proviamo ad approfondire alcuni dei principali aspetti di cui tener conto nel momento in cui si voglia affrontare un progetto di Self-service analytics, non certo con la pretesa di indicare una strada valida sempre e comunque ma solo per evidenziare alcuni consigli e punti di attenzione dettati dall’esperienza sul campo.

Self-service analytics, le componenti

Software

Ormai quasi tutti gli ambienti di Business intelligence disponibili sul mercato propongono a standard, assieme alle classiche funzionalità di reporting e/o dashboarding, anche la modalità di analisi self-service. Tuttavia, è proprio il “come” ogni software affronta questo tema che va tenuto in considerazione in un processo di selezione. Per esempio, è importante capire a che livello di semplicità e “naturalezza” venga gestita la funzionalità “drag & drop” di selezione dei dati. Così come sono da valutare i passi necessari per personalizzare gli oggetti di visualizzazione – grafici o tabellari che siano, la gestione di filtri e condizioni, la rapidità nel definire un percorso di drill-down o una gerarchia non prevista a monte, la chiarezza nel processo di creazione dei campi calcolati. Sono tutti aspetti che, se non ben previsti dal software, si rivelano alla lunga molto “time-wasting” per l’utente.

Un errore che spesso viene fatto dai software attualmente in circolazione è dare più spazio a funzionalità “di marketing”, come il data storytelling e il machine learning (tutto lodevole, intendiamoci) trascurando però le funzionalità base di cui l’utente ha estremo bisogno, vista la sua comprensibile fatica di uscire dalla “comfort zone” del file Excel usato fino a ieri.

Back end

Si intende tutto il lavoro “a monte” di preparazione dell’ambiente per agevolare al massimo l’attività dell’utente finale, che a sua volta dovrà concentrarsi nell’analisi “data driven” e non nel capire le astruse funzionalità necessarie per arrivarci. In questo senso occorre organizzare bene a livello architetturale lo schema dei collegamenti tra tabelle nonché il layer di metadati che di fatto costituirà l’interfaccia finale. È importante poi un lavoro preliminare che definisca una “naming convention” realmente utile e non solo tecnica o per pochi eletti. Ulteriore punto di attenzione in contesti aziendali enterprise è, ovviamente, la gestione del multilingua.

Bisogna cioè dare all’utente la massima libertà di azione, perché questo è il messaggio di fondo. Ma nel contesto di informazioni tra loro “logicamente” collegabili (perché tali alla fonte).

Se l’utente non si sente confidente dell’ambiente che gli stiamo fornendo, sia dal punto di vista della “user experience” che della bontà dell’informazione, non lo userà e, come il più classico degli effetti “bounce”, tornerà all’Excel da cui è arrivato.

Integrazione

La Self-service Analytics, per sua natura, dovrebbe andare “in sostituzione di” e non “in aggiunta a”. In altre parole, dovrebbe eliminare la necessità di tutti quei processi operativi – e, come tali, difficilmente certificabili – utilizzati finora per arrivare alla definizione di un prodotto finito, ma senza rendere più complicato il sistema lato IT con la gestione separata di un ulteriore layer slegato dai sistemi già attivi.

L’integrazione è tutto. In caso contrario, si tratta solo di spostare il problema più a monte, cioè a livello tecnologico. Un po’ come nascondere la polvere sotto il tappeto.

Organizzazione

Una figura quasi mitologica che si aggira per le aziende è quella del “power user”, cioè dell’utente di business ma con conoscenze e inclinazioni tecnologiche tali da consentirgli/le di fungere da tramite tra l’IT e il proprio ufficio. Nello specifico, di essere papabile per occuparsi di Self-service analytics, realizzando in modo semplice e rapido quel che prima richiedeva ore se non giorni di frustrante lavoro manuale. Un caso classico di power user è la figura del controller.

Il grado di “mitologia” dipende dal tempo effettivo che questa figura può effettivamente dedicare, dopo una formazione iniziale, alla conoscenza pratica del software e quindi al suo utilizzo quotidiano. Spesso gli impegni “classici”, uniti alla pericolosa per quanto comprensibile considerazione che “per stavolta lo faccio ancora con Excel, visto che è urgente” possono portare di fatto a un inutilizzo dello strumento di self-service.

In questo contesto è cruciale una “sponsorship” autorevole del progetto, ovvero un management che rinuncia per un periodo limitato alla rapidità di un risultato “quick & dirty” per lasciare il tempo al nuovo ambiente di self-service di “attecchire”.

Supporto

Così come, a fronte del rilascio di un nuovo strumento analitico in azienda, il timore di ogni team analytics è ricevere da subito mille e più ticket di malfunzionamento, errore o supporto, ancor più preoccupante dovrebbe essere non riceverne alcuno. Perché, a parte la situazione idilliaca del “100% up & running” che nella pratica si tende a escludere, questo potrebbe essere il segnale che lo strumento di fatto non viene utilizzato o, forse ancor peggio serve solo da tramite per esportare i dati grezzi e tornare a “casa Excel” (il “bounce” di cui sopra). Tutto ciò per dire che, ancor più con uno strumento di self-service, diventa fondamentale il “supporto post go live” per capirne utilizzo e problematiche al fine di una “release 2”. Ci vuole competenza, certo. Ma anche perseveranza e pazienza.

Conclusioni

In conclusione, la Self-service analytics è certo un ambiente di analisi dati, ma anche se non soprattutto una filosofia di lavoro, una sfida culturale che l’azienda pone a se stessa. Può trasformarsi in un vantaggio competitivo straordinario per definire strategie aziendali basate sui dati, ancor più in questo periodo in cui lo smart working poco si concilia con la precedente gestione operativa, manuale e quasi “in presenza” dei processi di organizzazione ed elaborazione del dato. Ma richiede un impegno forte e condiviso tra anima tecnologica e di business, oltre che supportata dal management. Richiede interventi sul piano organizzativo e un approccio che consideri l’utente al centro di tutto, accompagnandolo pazientemente in questo percorso di transizione o, meglio, di evoluzione.

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