Cinque motivi per cui la Data Science serve al mondo della ristorazione

Da Oracle un’analisi di come la Data Science possa essere applicata con profitto al mondo della ristorazione, offrendo agli operatori del settore nuovi insight sul proprio business

Pubblicato il 31 Ago 2017

restaurant

Un ristorante ben organizzato siede su una miniera di dati che transitano tutti dai suoi sistemi POS: le transazioni, le App Mobile,  le prenotazioni, gli ordini online.
Sono tutte informazioni preziose, che rappresentano insight altrettanto preziosi che potrebbero trasformarsi in nuove fonti di profitto per gli operatori della ristorazione.
Come?
Secondo Christopher Adams, VP Sales Food & Beverage di Oracle Hospitality, è qui che entra in gioco la Data Science.
Conoscere di più e meglio gli elementi che determinano l’andamento del proprio business, analizzare i fattori che influenzano le vendite e che condizionano l’efficienza operativa sono tutte opportunità che gli operatori possono sfruttare per migliorare la customer experience e ottimizzare tutta la filiera delle operation.

Cinque motivi per applicare la Data Science all’HoReCa

Adams identifica cinque motivi per cui la Data Science può servire al business dei ristoratori.

In primo luogo, scrive, la Data Science aiuta a incrementare il fatturato. Accedere a tutti i dati di business e poterne interpretare le metriche, questo è il segreto.
Leggere e capire i dati può aiutare a proporre menu su misura in base al cliente che si sta servendo, può aiutare a identificare quali sono i punti di forza di ciascuna location e replicarli in altre, può aiutare a misurare i comportamenti del proprio staff, anche in questo caso identificando quali generano maggiori vendite così da proporli a modello per gli altri membri del personale.

Il secondo motivo che dovrebbe spingere gli operatori del settore della ristorazione a ricorrere alla Data Science è la possibilità di incrementare non solo le vendite ma anche i margini.
Raggiungere una maggiore intimità con i propri clienti apre la strada a una maggiore personalizzazione del servizio. Una scelta che si traduce in maggiore soddisfazione e in nuove opportunità di “ritorno”.
E un cliente che ritorna, dunque fidelizzato, è un cliente sul quale si possono sviluppare attività di up-selling o di cross-selling.

Il terzo motivo cui fa riferimento Adams è la possibilità di ridurre i costi. Conoscere nel dettaglio cosa “c’è in casa” è la prima regola per evitare sprechi o acquisti superflui, mentre un’attenta analisi dei flussi e delle presenze consente una più precisa articolazione dei turni del personale.

La Data Science va oltre la Business Intelligence

Il quarto motivo per il quale la Data Science serve al mondo della ristorazione lo abbiamo già toccato nei punti precedenti ed è il miglioramento della soddisfazione del cliente. In realtà il cliente è soddisfatto quando la conoscenza che il ristoratore ha di lui si traduce in un servizio più curato e preciso: un’offerta che risponda ai suoi gusti, una proposta che tenga conto dei suoi orari, una selezione degli extra (torniamo all’up-sell e al cross-sell) che lo invogli.
A chi obietta che gli strumenti di Business Intelligence già offrono questo servizio, Adams controbatte a sua volta la Data Science porta gli insight a livelli diversi, presentando al ristoratore anche quelle informazioni che non stava effettivamente ricercando, ma che potrebbero fare la differenza. L’utilizzo congiunto di dati transazionali e dati non strutturati può generare set di reccomendation indispensabili per creare un nuovo ingaggio con i propri clienti.

Un cliente “ingaggiato”, o comunque coinvolto con il brand, è un cliente che ritorna. Ed è qui che di nuovo la Data Science gioca le sue carte, aiutando, ad esempio, il ristoratore a individuare quali nuove proposte formulare, quali personalizzazioni ulteriori offrire.

Foto: fonte Wikipedia

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