Smart working nella PA: i dipendenti proseguirebbero anche nel post emergenza

La ricerca di FPA rileva come per i dipendenti della PA lavorare da remoto non abbia determinato discontinuità lavorativa, perdita di produttività o impossibilità di collaborare. Anzi, per l’88% è un’esperienza positiva e il 41,3% evidenzia un miglioramento dell’efficacia lavorativa. Ma affinché il lavoro agile entri a regime nella PA è necessario ripensare i processi di lavoro, definire obiettivi e risultati individuali e fare formazione specifica sull’uso delle tecnologie e degli strumenti di comunicazione

Pubblicato il 16 Giu 2020

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Nonostante l’introduzione repentina dello Smart working nella Pubblica Amministrazione, l’88% dei dipendenti pubblici ha giudicato l’esperienza “un successo” e il 61,1% ritiene che questa nuova cultura, basata sulla flessibilità e sulla cooperazione all’interno degli enti, fra gli enti e nei rapporti con i cittadini e le imprese, prevarrà anche una volta finita la fase di emergenza. Il lavoro da remoto ha permesso al 69,5% dei lavoratori pubblici di “organizzare e programmare meglio il proprio lavoro”; al 45,7% di “avere più tempo per sé e per la propria famiglia”; al 34,9% di “lavorare in un clima di maggior fiducia e responsabilizzazione”.

In 7 casi su 10 è stata assicurata totale continuità al lavoro, per il 41,3% dei lavoratori l’efficacia è persino migliorata (per un altro 40,9% è rimasta analoga). Per oltre il 50% la relazione con i colleghi è rimasta analoga, per il 20% addirittura migliorata. Tutti benefici che si riscontrano anche nel 93,6% dei dipendenti pubblici che vorrebbe continuare a lavorare in smart working se gli venisse offerta la possibilità una volta tornati alla normalità. Ma per la maggior parte (il 66%) il lavoro da casa non deve essere full time, bensì integrato con dei rientri in ufficio organizzati e funzionali.

Un bilancio sostanzialmente positivo dello smart working “forzato” nella PA, quello che emerge dall’indagine “Strategie individuali e organizzative di risposta all’emergenza” condotta da FPAsocietà di servizi e consulenza del Gruppo Digital360, tra il 17 aprile e il 15 maggio 2020 e che ha coinvolto 4.262 lavoratori pubblici. La ricerca rappresenta un’anteprima di “FORUM PA 2020 – Resilienza digitale“, la manifestazione digitale con cui la società, dal 6 all’11 luglio, manderà in streaming una settimana di eventi (tavole rotonde, interviste, seminari, academy formative) sui temi dell’innovazione per la resilienza alla crisi.

Mariano Corso, Presidente di P4I, la società di Advisory del gruppo Digital360 e responsabile dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano commenta “La gestione della fase 2 può oggi rappresentare l’occasione per rendere più efficaci le nuove modalità di lavoro, dimostrandone i benefici. In questo modo la fine dell’emergenza non sarà per la PA un ritorno al passato, piuttosto un nuovo inizio da affrontare con modelli di lavoro più flessibili, efficienti e sostenibili”.

L’indagine completa è scaricabile qui.

Smart working: prova superata, ora servono obiettivi e formazione

A inizio 2020, prima dell’emergenza innescata dal Covid-19 solo nell’8,6% delle PA degli intervistati lo smart working era una modalità di lavoro diffusa. Nel 45,8% era attiva una sperimentazione limitata a un gruppo di dipendenti e per il 39,2% dei dipendenti non era possibile lavorare da remoto. Per effetto delle misure atte a contenere i contagi, a febbraio 2020 lo smart working “d’emergenza” è stato introdotto nel 98,8% delle amministrazioni, in alcuni casi come unica misura per la gestione del personale, nel 41% dei casi accompagnato dalla presenza in ufficio a turni e nel 40,5% dalla richiesta di utilizzare ferie e riposi arretrati.

Gianni Dominici, Direttore Generale di FPA

Secondo Gianni Dominici, Direttore Generale di FPA l’adozione massiva e rapida dello smart working nella PA può essere il punto di partenza per ridisegnare il futuro del lavoro pubblico. Infatti, “le amministrazioni che già stavano sperimentando il lavoro agile hanno saputo reagire meglio all’emergenza, riuscendo a mettere in poco tempo in smart working tutti i dipendenti e superando le difficoltà, tecnologiche e organizzative, causate da questa introduzione forzata”. Ma non è tutto perché anche se a volte è avvenuta in modo totalmente improvvisato, “Questa esperienza sta dimostrando che anche nella PA è possibile lavorare in modo flessibile e per obiettivi invece che guardando solo agli orari e al cartellino, con effetti positivi sia per l’attività che per la vita personale”.

Tuttavia, affinché “lo smart working diventi effettivamente una nuova modalità di organizzazione del lavoro nella PA è necessario ripensare i processi di lavoro, definire puntualmente obiettivi e risultati individuali e fare formazione specifica sull’uso delle tecnologie e degli strumenti di comunicazione, come consigliano gli stessi dipendenti pubblici. A questo scopo, approfondiremo e commenteremo i risultati della ricerca durante FORUM PA 2020, che vuole contribuire a una diversa visione di sviluppo anche sul tema del lavoro pubblico”.

Come si sono organizzate le PA durante il lockdown

Il 92,3% degli oltre 4200 dipendenti pubblici intervistati sta lavorando in smart working. Il 73,5% di questi lavora da casa per tutto l’orario di lavoro, il 18,8% compie alcuni rientri in ufficio o sospensioni del lavoro con giorni di ferie, recuperi o congedi. Gli esclusi dallo smart working sono appena il 4,7% (il 2% per scelta personale, l’1,2% perché in settori essenziali o servizi indifferibili, un altro 1,2% perché lavora in enti che non l’hanno attivato).

L’inadeguatezza delle dotazioni tecnologiche, da anni freno alla diffusione del lavoro agile, ha costituito un ostacolo piuttosto limitato: per il 21,8% il problema è stato la qualità della connessione e per il 19,3% le attrezzature non appropriate. Resta il fatto che: il 68,2% del personale ha utilizzato il proprio PC, il 77,1% il proprio telefono cellulare, il 95% la connessione internet domestica, anche se il 68,3% non ha ricevuto formazione specifica sul lavoro da remoto. I limiti tecnologici ). Gli aspetti più problematici sono in realtà relazionali: la difficoltà a mantenere delle relazioni sociali con i colleghi (35,9%), fare i conti con una sensazione di isolamento lavorativo (27,9%), conciliare le esigenze familiari con quelle lavorative (22,3%).

Lavorare da casa non ha significato smettere di lavorare né lavorare male: il 73,8% è riuscito a svolgere tutte le attività in egual misura da remoto. Per il 41,3% dei dipendenti PA l’efficacia lavorativa è migliorata e per un altro 40,9% è rimasta analoga. Lavorare da casa non ha determinato discontinuità lavorativa, perdita di produttività o impossibilità di collaborare. Questo nonostante per 3 dipendenti su 10 non sia stato possibile ricavarsi una stanza per lavorare, ma nel 22,1% è stato necessario condividerla con altri membri della famiglia e per il 10,9% lavorare nello stesso spazio in cui la famiglia fa altro (guarda la TV, gioca, ecc.). Per la maggior parte dei lavoratori l’aumento della flessibilità oraria si è tradotta in un incremento del tempo di lavoro (34,3%); a un buon 26,8% invece le amministrazioni hanno richiesto lo stesso orario di lavoro “da cartellino”.

Per il 56% dei dipendenti pubblici il periodo di lockdown ha rappresentato un’occasione per dedicare tempo alla formazione. Per lo più corsi a distanza, ma anche webinar di approfondimento, lettura di articoli su riviste o siti tematici, studio di saggi e manuali. Tra i temi di approfondimento, al primo posto c’è proprio lo smart working (il 54,4%), seguito da approfondimenti su aspetti giuridici-normativi che vanno dal codice degli appalti, all’anticorruzione, alla privacy e al GDPR (45,8%) e aspetti specifici legati al Covid19 (33.2%). Ma ci si è anche formati sulle competenze digitali e sull’uso di strumenti informatici e piattaforme di lavoro a distanza e collaborazione.

Immagine fornita da Shutterstock.

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